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Archivi Mensili: febbraio 2020

Pio XII, la Storia e la polemica. A margine di un recente articolo di “Shalom”

22 sabato Feb 2020

Posted by matteoluiginapolitano in Uncategorized

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Archivi, Pio XII, Storia diplomatica, Vaticano

«E’ una polemica lunga quasi 60 anni quella sui ‘silenzi’ di Papa Pio XII sullo sterminio nazista degli ebrei».

Esordisce così un articolo a firma di Giacomo Kahn, pubblicato di recente sulla rivista Shalom. L’articolo cade nell’imminenza dell’apertura degli archivi vaticani sul pontificato di Pio XII, prevista per il 2 marzo prossimo. Gli archivi che si stanno per aprire, circa una dozzina, daranno certamente un ricco contributo alle ricerche sulla posizione della Santa Sede non solo nella seconda guerra mondiale e rispetto alla tragedia della Shoah (su cui tuttavia esiste già la preziosa serie edita degli Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale), ma anche con rispetto alla formazione dei blocchi nella Guerra fredda, alla crescente polarizzazione ideologica (si pensi ad esempio al “colpo di Praga”, alla prima crisi di Berlino, alla creazione della NATO e alla crisi ungherese) e all’integrazione europea. Per ragioni solo in parte spiegabili, tuttavia, in previsione delle nuove aperture archivistiche l’attenzione resta concentrata sul ruolo di Pio XII nella Shoah.

«Tutto cominciò, di fatto, esattamente nel 1963 con la pubblicazione del testo teatrale Il Vicario, scritto dal drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth: fu rappresentato in prima mondiale da Erwin Piscator a Berlino e il successo fu tale che ben presto approdò a Broadway e quindi a Parigi (con Michel Piccoli) e Londra – spiega ancora Kahn -. Il Vicario fu subito al centro di grosse polemiche internazionali, perché per la prima volta Papa Eugenio Pacelli, che aveva governato la Chiesa dal 1939 al 1958, era accusato di concorso colposo negli stermini nazisti. Quel testo di Hochhuth fece deflagrare il sospetto che il pontefice avesse taciuto volontariamente sull’Olocausto, pur essendo informato delle atrocità commesse dai nazisti nei campi di concentramento».

***

Al netto dell’indubbia popolarità mediatica che riscosse Il Vicario di Hochhuth, sorprenderà molto l’apprendere che non fu quel dramma teatrale a spingere il Vaticano alla pubblicazione dei suoi documenti sulla seconda guerra mondiale. Rolf Hochhuth, l’allora giovane allievo del teatro politico di Piscator (peraltro ex allievo anche della gioventù hitleriana) non fu il vero problema. Quel testo (il cui allestimento scenico fu proibito persino a Tel Aviv) in fondo era pura invenzione narrativa, e sarebbe stato artificioso travasare la drammaturgia nella storiografia. Il vero problema per il Vaticano fu rappresentato invece dall’uscita del libro di Saul Friedländer, Pius XII. und das Dritte Reich: Eine Dokumentation (Pio XII e il Terzo Reich. Una documentazione). Per la prima volta vedeva infatti la luce un testo scientifico, opera di un rispettabilissimo storico della Shoah, che era basato sugli archivi tedeschi, e nel quale si pubblicavano i dispacci sino allora inediti dell’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, von Weizsäcker. Dai dispacci successivi al tragico 16 ottobre 1943 traspariva indubbiamente l’eccessiva “tranquillità” della Sede Apostolica e di Pio XII di fronte alla razzia nazista nel Ghetto di Roma. Agli occhi del mondo, dunque, il libro di Friedländer rappresentava una rivelazione che metteva in crisi i rapporti tra i cattolici e il mondo ebraico su un tema così scottante e dirimente.

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Supponiamo che, quando si apriranno le carte sul pontificato di Papa Montini, quanto si è appena detto sarà di pubblica ragione. Si vedrà come, all’uscita del libro di Friedländer, Montini abbia convocato tre storici gesuiti, in forze alla Pontificia Università Gregoriana e alla rivista “La Civiltà Cattolica”, incaricandoli di preparare una raccolta documentaria in più volumi che servisse da risposta al libro di Friedländer.

Prima di diventar papa, infatti, il giovane Sostituto alla Segreteria di Stato Montini, da stretto collaboratore di Pio XII, aveva avuto piena contezza dei fatti, anche perché durante la guerra coordinava l’Ufficio Informazioni Vaticano. Per Montini sarebbe occorso dunque pubblicare i documenti vaticani e fare in modo che parlassero da sé, attenendosi al massimo rigore scientifico possibile, nonostante il disordine archivistico che regnava fra le carte della seconda guerra mondiale, non ancora riordinate.

Una tale operazione, concepita da Paolo VI, incontrò nei sacri palazzi non poche resistenze: paura di esporsi, paura di farsi trascinare in una polemica, paura dei classici “scheletri nell’armadio”; persino un’irrazionale paura che, pubblicando i documenti, si andassero a svelare i cifrari diplomatici della Santa Sede (cosa, questa, tecnicamente del tutto impossibile). Sta di fatto che Paolo VI prese la sua decisione: quella di pubblicare una serie di volumi nonostante il caos archivistico regnante, pur di fare opera di “trasparenza storica”.

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Contrariamente a ciò che si crede, dunque, non fu Il Vicario a cambiare il corso della storia. Quel testo peraltro aveva valore diverso a seconda dei tagli apportati nei vari allestimenti per un pubblico di volta in volta diverso, o a seconda del luogo di rappresentazione e della prefissata durata scenica. Inoltre, l’indubbia efficacia emotiva (il testo e la dinamica sono innegabilmente coinvolgenti) nulla diceva sulla verità fattuale narrata sulla scena. E infatti la verità su Pio XII narrata da Hochhuth fu contestata fin da subito da autorevoli ambienti non cattolici, e da studiosi “non pontifici” del calibro di Jacques Nobécourt nel suo celebre Il Vicario e la Storia.

In ultimo, una cosa era assistere alla rappresentazione teatrale di Hochhuth, accettandola così com’era, da spettatori passivi nel buio di una sala; altra cosa era leggere il testo nella sua interezza, per poi confrontarlo con la silloge assai incompleta di documenti che Hochhuth volle proporre in appendice al volume. Chi dunque si avvicini al testo di Hochhuth deve sapere che non esiste un solo Vicario, ma tanti Vicari quanti sono gli spettatori e i lettori.

***

Neppure è vero che «nel 1965, per replicare alle accuse infamanti, Papa Paolo VI decise di avviare il processo di beatificazione del suo predecessore, peraltro ancora in corso». Questa è solo un’appendice della storia. Il maggior impegno, invece, Papa Montini lo profuse proprio nella creazione della già citata raccolta degli Actes et Documents: raccolta che chi la conosce sa esser fatta non solo solo di documenti vaticani in senso stretto, ma anche di documenti di assai varia provenienza (e soprattutto di provenienza ebraica). Questa “democrazia documentaria” montiniana, lo si diceva, non avvenne senza scarti e senza indecisioni. In un primo tempo si era pensato di rispondere alle polemiche con un semplice “libro di colore”, ossia con uno o due tomi utili solo a difendere la Santa Sede. Ma i tre, poi quattro gesuiti convocati dal Papa (i padri Blet, Graham, Martini e Schneider) furono irremovibili: o si pubblicava una raccolta sistematica con ciò che all’epoca si poteva trovare negli archivi, o era meglio rinunciare al progetto. L’altra condizione posta dai gesuiti fu che la raccolta si dotasse di un ricco apparato critico di fonti che avrebbe fatto riferimento anche ad altri archivi all’epoca consultabili (in particolare: quelli britannici, americani, italiani e francesi). Paolo VI dovette arrendersi alla determinazione dei quattro religiosi, la cui impostazione di lavoro prese quindi decisamente il sopravvento.

***

Per dare un’idea della metodologia di lavoro seguita dai padri Blet, Graham, Martini e Schneider, basterà ripercorrere i giorni che precedettero la pubblicazione del volume con i documenti sul 16 ottobre 1943. Gli archivi ci informano che, nell’imminenza dell’uscita del nono volume degli Actes, l’emozione era palpabile. Ecco che cosa scrive nel suo privatissimo diario il gesuita Robert Graham: «In questo momento ho le bozze del volume VIII [sarebbe stato poi il nono, NdA]: opera umanitaria nel 1943. Schneider dice che ora devo preparare un’introduzione e che dovrà essere assai buona, a causa della natura della documentazione, naturalmente sulla questione ebraica e sull’opera di soccorso a Roma. Ho detto che c’è l’intera documentazione delle lettere inviate al Papa dopo il 16 ottobre (nessuna delle quali indicava che fosse noto ciò che si preparava). E poi c’è l’intero elenco degli appelli [per i nostri] fratelli arrestati nell’autunno del 1943».

***

Il nono volume degli Actes sarebbe stato pubblicato nel dicembre 1975. Alla data del 16 ottobre 1943 vi troviamo un appunto manoscritto del Segretario di Stato Cardinal Maglione (che nel volume si riproduce anche fotograficamente). Quel 16 ottobre Maglione convocò di prima mattina l’ambasciatore tedesco per imporgli di far cessare la razzia degli ebrei romani. L’ambasciatore rispose che l’ordine veniva da molto in alto, e che una protesta vaticana avrebbe avuto le più serie conseguenze. Von Weizsäcker chiese quindi che cosa avrebbe fatto la Santa Sede se la razzia fosse continuata. Maglione rispose che la Santa Sede non avrebbe dovuto esser messa nella condizione di dire la sua parola di disapprovazione. Se la Santa Sede fosse stata costretta a protestare, continuò Maglione, essa si sarebbe affidata alla Divina Provvidenza per le conseguenze. Von Weizsäcker, resosi improvvisamente conto dell’incipiente rottura, chiese di non riferire a Hitler di quella conversazione del 16 ottobre. Maglione lo lasciò libero di riferire o di non riferire, purché la razzia avesse immediatamente fine.

Di conseguenza, scavando negli archivi tedeschi, Saul Friedländer non ha trovato traccia di questo colloquio semplicemente perché von Weizsäcker non ne riferì; semplicemente perché egli non informò Berlino della possibilità di una protesta papale qualora la razzia a Roma fosse continuata. L’ambasciatore tedesco, infatti, teneva a presentare la sua missione in Vaticano nella miglior luce possibile, dato che egli subiva il nuovo incarico come uno sgradito esilio dorato, dopo i fasti berlinesi che lo avevano visto reggere il Ministero degli Esteri. Chiaro dunque il suo intento di edulcorare il più possibile la situazione, cosa che fece in ben due rapporti da cui tanto è dipesa l’interpretazione di Friedländer; rapporti che tuttavia sono uno dei massimi esempi di falsificazione storica.

A ulteriore conferma di quanto dicevamo, giova fare un raffronto tra i rapporti di von Weizsäcker e due narrazioni insospettabili e distinte: quella del ministro britannico in Vaticano, Osborne; e l’altra dell’ambasciatore Pagine da Volume-9_EVIDENZIATO-2slovacco in Vaticano, Sidor. Il primo, il 31 ottobre 1943, scrisse a Londra che la razzia al Ghetto di Roma fu fermata dalla convocazione dell’ambasciatore tedesco in Vaticano e da una protesta del Cardinale Maglione; con il risultato che molti degli arrestati furono liberati. Il secondo, sempre il 31 ottobre, IMG_1822-1annotava nel suo diario che, di fronte alla razzia nazista, Pio XII aveva dato ordine alla Compagnia di Gesù e a tutte le istituzioni ecclesiastiche di Roma di aprire le porte per dar rifugio agli ebrei.

Il vero problema storiografico, quindi, non è il silenzio di Pio XII di fronte alla razzia degli ebrei romani; il vero nodo storiografico è il silenzio dell’ambasciatore tedesco von Weizsäcker, che nascose a Hitler il fatto di una probabile protesta papale qualora la razzia a Roma non fosse immediatamente cessata.

***

Ciò detto, si potrebbe sempre opporre a Pio XII l’accusa di non aver fermato il treno della deportazione in partenza dalla Stazione Tiburtina, così firmando la condanna a morte di oltre un migliaio di ebrei romani. Ma la vera domanda è la seguente: che fine fece, quel 16 ottobre 1943, la maggioranza degli ebrei romani? Stando alle statistiche riportate in alcuni studi della comunità ebraica, al varo delle leggi razziali gli ebrei a Roma erano circa dodicimila. Alla fine della guerra essi erano 11.300, compresi alcuni ebrei provenienti dall’estero. Se queste cifre sono esatte, al 16 ottobre 1943 la comunità ebraica romana doveva contare all’incirca fra le 8000 e le 10000 persone. Ebbene, che fine fece la maggioranza di questi ebrei presenti a Roma quel 16 ottobre, quando poco più di un migliaio di loro prendeva tragicamente la strada dei Lager? E’ questo un altro interessante tema storiografico, e siamo sicuri che l’apertura delle carte sul pontificato di Pio XII apporterà qualche novità in proposito.

***

Tralasciamo deliberatamente qualsivoglia considerazione sul libro di John Cornwell, Il Papa di Hitler. E’ stato detto già tanto su come quel libro alteri la verità storica. Basteranno qui tre considerazioni. Cornwell ha preteso di riscrivere la storia di Pio XII: a) lavorando all’Archivio Segreto Vaticano per meno di una settimana (è agli atti dei registri delle presenze); b) lavorando su pochissime carte relative a Pacelli diplomatico in Baviera e in Germania (e non relative al “Papa di Hitler”); c) producendo, fra queste carte, un documento già pubblicato da Emma Fattorini nel 1992, ma da lui presentato come nuovo e inedito. Perché nulla è più inedito di ciò che si ignora.

***

Più interessante è l’accenno di Kahn al film Amen di Costa-Gavras. Ma il problema di quel film non è tanto la svastica nazista sovrapposta alla croce (che pure di per sé è un vilipendio alla religione cristiana), quanto proprio le tesi illustrate nel copione del film. Ci limiteremo, anche in questo caso, a qualche illuminante considerazione:

  1. Per sua stessa ammissione, nella preparazione del film Costa-Gavras non ha voluto alcun consulente storico; ma in un’operazione del genere non basta leggere una dozzina di libri, a meno che le tesi che si volevano sostenere nel film non fossero storiche ma di altra natura.
  2. Il film è pieno di falsificazioni storiche. Per esempio Costa-Gavras ignora che l’eutanasia non si fermò per le proteste di von Galen; si vede poi nel film un colloquio tra l’ufficiale delle SS Gernstein e il nunzio apostolico a Berlino, Orsenigo, che è del tutto inventato; il regista fa inoltre dire a Orsenigo (altra colossale falsificazione storica) che Pio XII sta pregando per l’esito della guerra in Russia, perché «Hitler deve schiacciare Stalin»; dulcis in fundo, Costa-Gavras non fa alcuna menzione del colloquio Maglione-von Weizsäcker, di cui abbiamo abbondantemente parlato.

Com’è noto, poi, il film di Costa-Gavras attinge direttamente al Vicario di Hocchuth, i cui limiti si sono già ampiamente ricordati. Ma i due hanno poi litigato proprio sulle tesi esposte, rispettivamente, nel film e nel testo teatrale. A Hochhuth, infatti, Costa-Gavras è sembrato un po’ troppo “morbido” nei confronti di Pio XII!

***

C’è da aggiungere che il drammaturgo tedesco non è nuovo a imbarazzanti incidenti con la Storia. Nel 1967 Hochhuth portò sulle scene una nuova pièce intitolata Soldaten. Nekrolog auf Genf. In essa sosteneva la tesi che gli alleati volessero sbarazzarsi del presidente del consiglio del governo polacco in esilio, Sikorski, provocando l’incidente aereo in cui il premier tragicamente perì.

Nella pièce di Hochhuth, Winston Churchill viene additato come il responsabile di tutta l’operazione. Sfortuna per Hochhuth (che lo ignorava), il pilota dell’aereo precipitato, Eduard Prchal, era sopravvissuto; fece causa a Hochhuth per diffamazione e la vinse. I giudici infatti stabilirono che il drammaturgo si era inventato tutto il complotto contro Sikorski al solo scopo di difendere i sovietici dall’accusa di essere stati gli autori del massacro di Katyn, su cui imperversava una polemica fatta di menzogne (soprattutto moscovite) e di sbarramenti ideologici.

***

Non possiamo non tornare, concludendo queste riflessioni, all’oggetto da cui avevamo preso spunto: l’annosa polemica su Pio XII di cui Hocchuth si è reso protagonista con la pubblicazione del suo Vicario.

«Se fosse vero quanto si afferma nel lavoro teatrale di un tedesco [ossia, appunto, nel Vicario di Rolf Hochhuth] che quei fatti non ha visto e non ha constatato come noi quello che avvenne a Firenze, a Roma, a Milano, a Genova ed in cento altre città d’Europa investite dal Nazismo, dove i vescovi per primi si prodigarono a difesa degli ebrei, non sarebbe avvenuto. La Chiesa cattolica ha dato invece a noi ebrei la prova di aver salvato tutti quelli che ha potuto salvare […]. Si nomini Pio XI o Pio XII o Giovanni XXIII, hanno salvato degli uomini d’Israele, cioè dei figli di Abramo e li hanno salvati in quanto figli di Dio, come e quanto si sono impegnati di salvare i cristiani».

A parlare così è il dirigente dell’organizzazione di soccorso ebraica Delasem (Delegazione per l’Assistenza all’Emigrazione) Raffaele Cantoni: un non credente, socialista, grazie al quale molti ebrei poterono scampare ai Lager mettendosi in salvo in terre più ospitali, prima fra le quali la Palestina.

Le parole di un gigante dell’umanità come Raffaele Cantoni ci sembra rappresentino tutto quello che, nei fondali dell’animo di molti sopravvissuti, si è annidato per molto tempo. All’insaputa di Hochhuth.

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