«Palatucci, tutte le ombre sulla vita dello Schindler italiano…Si dice abbia salvato oltre 5.000 ebrei in una regione dove non ve n’erano neanche la metà. Mito o truffa clamorosa?. Schindler italiano o bufala?» E via insinuando.
Per la Farkas, Palatucci è, al massimo, un mito, se non una “bufala”. Quanti ebrei ha salvato? Era davvero filosemita? Queste domande si susseguono lungo tutto l’articolo. Palatucci è stato dichiarato Servo di Dio dalla Chiesa cattolica. Può la Chiesa aver fatto un monumento morale a un soggetto che nella vita fu tutt’altro?
In poche parole è questo il dubbio insinuato dalla Farkas, che si serve di varie fonti per rafforzarlo: di un non meglio specificato «crescente coro di storici e ricercatori che da anni studiano il più celebrato tra i “giusti” italiani»; di un promemoria del Ministero degli Interni del luglio 1952; delle dichiarazioni dell’ex direttore di Yad Vashem Mordecai Paldiel, secondo cui «Palatucci fu riconosciuto giusto fra le nazioni per aver aiutato “una sola
donna”, Elena Aschkenasy, nel 1940»; sicché «la commissione non ha rinvenuto alcuna prova né testimonianza che avesse prestato assistenza al di là di questo caso».
Ma non basta
. La Farkas ci ammonisce che
«dagli archivi si scopre che Palatucci fu funzionario di pubblica sicurezza presso la Questura di Fiume dal 1937 al 1944, dove era addetto all’ufficio stranieri e si occupò dei censimenti dei cittadini ebrei sulla cui base la Prefettura applicava le leggi razziali». Ergo, si tratterebbe di un questurino che non poteva non essere anche lui antisemita in ossequio agli ordini superiori. Si cita a riprova
“Il Libro della Memoria” di Liliana Picciotto Fargion, per dirci che «durante la breve reggenza di Palatucci la percentuale di ebrei deportati da Fiume fu tra le più alte d’Italia».
In altri termini, Giovanni Palatucci, invece di essere un Giusto, sarebbe solo uno zelante esecutore di ordini di deportazione proprio perché Fiume registrò il più alto tasso di deportati.
Palatucci, insomma, sarebbe stato un “eroe a sua insaputa”; o, per citare ancora la Farkas, un «eroe ad hoc», un archetipo di quello che Simon Levis Sullam (altra fonte della Farkas) ha definito «il mito del bravo italiano», utile solo per essere «fonte di auto-assoluzione collettiva rispetto al sostegno offerto a politiche antisemite e razziste» nel periodo 1937-1945, cui migliaia di italiani parteciparono direttamente». Altro che Palatucci salvatore di ebrei. Siamo di fronte a una vera e propria «epica palatucciana».
Ci sono moltissimi aspetti problematici nella rappresentazione dei fatti di Alessandra Farkas. Cercheremo nel nostro piccolo di indicarne i principali. Lo faremo alla luce dei “Palatucci Files”, che abbiamo preso all’Archivio dello Yad Vashem a Gerusalemme.

1) Essere designati “Giusti” dipende da una definizione quantitativa? In altre parole: è necessario un “quorum” di salvati per conferire la patente di Giusto, oppure si può essere giusti anche per una sola vita ebraica salvata? E chi stabilisce tale quorum? Per il “Corriere della Sera”, sembra che salvare un solo ebreo non conferisca la patente di Giusto. Yad Vashem e anche il Talmud («Chi salva una vita salva il mondo intero») vanno nella direzione opposta: salvare un ebreo, anche uno solo, è roba da Giusti.
2) La Farkas scrive che secondo l’ex Direttore dell’Ufficio Giusti di Yad Vashem, Mordechai Paldiel, Palatucci è stato dichiarato Giusto per aver salvato una sola vita umana: quella di Elena Ashkenasy.
Evidentemente per Yad Vashem non esiste un quorum di vite salvate per essere considerato Giusto: basta salvare una sola vita ebraica.

Ma c’è di più. Siamo in possesso della testimonianza autografa di Elena Ashkenasy Dafner, datata 10 luglio 1988, redatta nella sua casa di Tel Aviv. Si trova nell’istruttoria su Palatucci, conservata nell’Archivio di Yad Vashem (Dipartimento Giusti, File n. 4338). Ebbene, la signora scrive che, dopo aver assicurato il suo interessamento per lei e per suo marito, «di sua iniziativa [Palatucci] aggiunse che avrebbe fatto il possibile per trovare il modo di far entrare al più presto tutta la mia famiglia in Svizzera (una sorella e un fratello di mio marito abitavano là».
Facciamo notare che la famiglia della Ashkenasy si era rifugiata a Fiume da Vienna e che la signora nel suo scritto aggiunge che Palatucci falsificò anche documenti con timbri della questura. La Ashkenasy aggiunge che Palatucci «rifiutò con decisione» qualsiasi tipo di omaggio, segno della sua gratitudine, «sorpreso che il suo aiuto dovesse essere ricambiato in qualche modo».
Nella notte tra il 10 e l’11 giugno 1940, gli uomini della famiglia della Ashkenasy furono tutti arrestati, e poi deportati nel campo di Ferramonti. Scrive la Ashkenasy: «Anche in questa occasione mi rivolsi al Dott. Palatucci che mi tranquillizzò». La signora (che aveva da poco partorito), con la mamma ammalata e con altre parenti, fu costretta a trasferirsi a Caprarola, in provincia di Viterbo, e in altre località lontane. Palatucci fece sì che questo trasferimento di residenza fosse attuato «con due o tre settimane di tempo per organizzarsi».

Dalla testimonianza della signora Ashkenasy risulta insomma che Palatucci s’interessò a lei, a suo marito, alla loro neonata e alla loro famiglia: una decina di persone all’incirca. Una decina, non una sola persona salvata.
Fermo restando quindi che basta salvare una sola vita per essere considerati Giusti, l’ebrea chiamata in causa dalla Farkas ha dichiarato che lei non è stata l’unica a essere stata salvata da Palatucci. Quando si fa un uso non strumentale dei documenti, la storia diviene meno creativa e più aderente ai fatti.
Le cose non stanno quindi come Mordechai Paldiel crede; ed è molto strano, per inciso, che egli non ricordi esattamente il contenuto di un dossier (quello su Palatucci) di cui si occupò direttamente.
3) Il comando delle operazioni antiebraiche a Fiume, dopo l’8 settembre 1943, non era in mano italiana, ma in mani tedesche: questo non solo perché i tedeschi s’impadronirono ben presto del Litorale Adriatico, controllando anche Istria e Dalmazia, ma anche perché non si fidavano affatto del modo in cui gli italiani applicavano le leggi razziali. In altre parole, loro pensavano che gli italiani non fossero capaci di attuare una “soluzione finale”, e nemmeno “semifinale”.
4) Il “Libro della Memoria” di Liliana Picciotto Fargion, citato dalla Farkas, ci informa che la Gestapo aveva attivato un apposito ufficio in Italia per la politica antiebraica (pp. 911 ss.). Tale ufficio era indipendente; ed esisteva nelle questure una vera e propria autorità tedesca parallela quella italiana, unicamente dedita alla caccia agli ebrei.
5) Che significa poi che Palatucci aveva dei superiori notoriamente antisemiti? Che per proprietà transitiva lo era anche lui? Se è così, a Yad Vashem hanno preso un abbaglio! Anche Oskar Schindler era iscritto al Partito nazista e continuava a proclamarsi un fervente nazista fedele alla linea di partito, proprio mentre salvava ebrei. E lo stesso fece Giorgio Perlasca, quando fingeva di essere un diplomatico al servizio della Spagna franchista. Ma costoro salvarono o no vite ebraiche?
6) Non si può citare “Il libro della Memoria” della Picciotto Fargion un tanto al chilo. A p. 84 di quel libro, la Picciotto scrive che non vanno dimenticate quelle persone generose che furono deportate per il solo fatto di aver aiutato ebrei. E tra queste persone mette Giovanni Palatucci. Ora: che Palatucci sia stato arrestato perché considerato spia antibritannica, e non per aver salvato ebrei, è vero. Ma è altrettanto vero che salvò vite ebraiche: non “aut aut”, ma “et et”.
7) Neppure si può neppure escludere che l’accusa di spionaggio fosse un pretesto avanzato dai nazisti per far ingoiare un rospo a Mussolini. Non a caso, il Ministero degli Interni della Repubblica Sociale chiedeva con insistenza ai tedeschi perché mai Palatucci fosse stato arrestato; e a rispondergli fu l’ufficio di collegamento della “Sichereitspolizei” in Italia, competente anche per le retate degli ebrei italiani (Appunto per il capo della Polizia Repubblicana, 10 gennaio 1945).
I file di Yad Vashem autorizzano una tale ipotesi, perché da essi emerge che «nel settembre 1943 il Dr. Palatucci aderì al Movimento di Liberazione Nazionale, assumendo il nome di “Dr. Danieli”, proseguendo nelle sua mirabile opera di salvataggio di migliaia di perseguitati».
Ciò è confermato nero su bianco dalla Divisione Intelligence del Ministero dell’Interno italiano, in un documento faxato a Yad Vashem il 28 ottobre 1998, in nostro possesso, e nel quale si legge che Palatucci «aiutò in questo periodo [dopo l’8 settembre 1943] migliaia di ebrei».
Abbiamo sotto gli occhi anche il certificato di onore di Yad Vashem, con cui si dichiara “Giusto” Palatucci. Il documento parla al plurale: Palatucci «rischiò la vita per salvare gli ebrei perseguitati». Ebrei; al plurale.
Di ebrei, al plurale, salvati da Palatucci scrive anche il “Jerusalem Post” del 10 febbraio 2005, e otto giorni dopo anche “The Jewish Press”. E via citando.
8) Il decreto di conferimento della medaglia d’oro a Palatucci, da parte del Ministero dell’Interno, datato 17 maggio 1995, contraddice il precedente documento del 30 luglio 1952 citato dalla Farkas, perché vi si afferma che Palatucci salvo migliaia di ebrei. Anzi, un’informativa inviata a Yad Vashem dalla direzione intelligence del Ministero dell’Interno italiano dice che «subito dopo la guerra, nel 1952 numerosi ebrei sopravvissuti ricordarono e testimoniarono la sua [di Palatucci] coraggiosa attività e il suo supremo sacrificio». Ebrei, al plurale.
9) Non siamo in grado di quantificare esattamente la cifra dei salvati; ma sicuramente quaranta ebrei fiumani trovarono rifugio nella diocesi di Campagna (ce lo dice la stessa Farkas), dov’era vescovo mons. Giuseppe Palatucci, zio di Giovanni. Una casualità?
No. Lo dice lo stesso Yad Vashem, nella persona del Capo dell’Ufficio Relazioni con i Media, Lisa Davidson, in una e-mail al giornalista Patricio Balona, datata 15 marzo 2001, di cui la copia è in nostro possesso.
10) A ben vedere è lecito nutrire dubbi anche sulle dichiarazioni di Mordechai Paldiel
alla tavola rotonda citata dalla Farkas, secondo cui Palatucci fu dichiarato Giusto per aver salvato una sola signora ebrea. Nell’incartamento su Palatucci conservato a Yad Vashem c’è un documento che smentisce Paldiel; o meglio in cui Paldiel smentisce se stesso, perché è lui a firmarlo. Si tratta di una lettera del 10 luglio 1995, diretta a Thomas Palatucci, un congiunto newyorchese del vicequestore aggiunto di Fiume. Nella sua lettera Paldiel così motiva ufficialmente il conferimento del titolo di Giusto a Palatucci: «Avvertì gli ebrei del fatto di essere ricercati, li nascose con l’aiuto di suo fratello, il vescovo locale [sic: per lo zio Giuseppe Palatucci, vescovo di Campagna], o li aiutò a salpare per Bari, dietro le linee alleate. Molti ebrei furono salvati a motivo dei suoi sforzi».Dunque, Nel 1995 Mordechai Paldiel scrisse nero su bianco che il titolo di Giusto era stato conferito a Giovanni Palatucci per aver salvato la vita a molti ebrei («many Jews»). Per poi smentire se stesso in una tavola rotonda, asserendo che Palatucci salvò una sola persona!
Potremmo esibire altri documenti riguardanti altri casi, che tuttavia dovrebbero essere di dominio pubblico. A ogni modo, i casi di ebrei cui Palatucci s’interessò sono sicuramente più di uno.
Del resto, come si è detto, a Yad Vashem basta una sola vita salvata essere Giusti. Il resto ci sembra frutto di congetture, più che di analisi storica.